Tre storie che prendono forma attraverso la voce di Antonio, un bambino palermitano che ama gli eroi, le storie epiche dei cavalieri e le loro gesta, colleziona Pupi e cita a memoria l’Orlando Furioso.

 

E’ lui il nostro cantastorie che ci introduce nella vita quotidiana di 3 famiglie italiane ferite per mano della mafia. Le vittime non sono solo i morti, ma sono tutti coloro che hanno dovuto convivere con compleanni non festeggiati, abbracci non ricevuti e baci della buonanotte non dati.

 

Combattere la mafia è anche questo: ricordare i propri cari onorandoli con la propria vita, volgendo ogni tanto uno sguardo alla Luna, là dove si conservano le cose più preziose.

sedia

Gianni Vukaj

scritto da

Beatrice Bernacchi e Gianni Vukaj

producer

Concetta Malatesta

riprese

Roberto Evangelista e Marco Pocetta

color correction

Mauro Vicentini e Simone Passacantilli

montaggio

Fabio Quattrini

musica

Music Media Milano

ig

Antonia De Santis

web

Ufficio Web Tv2000

anno

2019

Durata

75′

4k

Capitolo 1

Il tramonto

“Il pomeriggio se ne va.
il tramonto si avvicina, un momento stupendo,
il sole sta andando via (a letto) è già sera tutto è finito”

(Nadia Nencioni)

La chiamano la Strage di via dei Georgofili, a Firenze. Un attentato mafioso provocato da Cosa Nostra nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993, in cui persero la vita Angela Fiume, Nadia, Caterina e Fabrizio Nencioni e Dario Capolicchio. Tra i feriti si contarono 48 persone e furono danneggiate 148 opere d’arte.

La preparazione

La fase della preparazione dell’esplosivo è nota solo in minima parte grazie alle dichiarazioni rese da Grigoli Salvatore. L’organizzazione è avvenuta a Palermo ed è stata opera di Giuliano, Lo Nigro e Spatuzza. Il 23 maggio 1993, dopo aver macinato e confezionato l’esplosivo, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro e Francesco Giuliano vennero accompagnati a Firenze per effettuare alcuni sopralluoghi. La sera del 26 maggio, dopo aver rubato una Fiat Fiorino e dopo averla imbottita di esplosivo, Giuliano e Lo Nigro la parcheggiarono in via dei Georgofil Procurando l’esplosione.

il dono della luna doc Tv2000 strage dei georgofili location Firenze Romola (1)
il dono della luna doc Tv2000 strage dei georgofili location Firenze Romola (2)

L’attentato

L’attentato dinamitardo avviene all’1.04 del 27 maggio 1993. La Fiat Fiorino, imbottita con 250 chilogrammi di esplosivo, parcheggiata di fronte all’ingresso secondario dell’Accademia dei Georgofili, dietro la Galleria degli Uffizi, fa tremare l’intera città. All’arrivo dei Vigili del Fuoco, delle forze dell’ordine, delle ambulanze lo scenario che si presenta è un enorme cratere nel suolo causato dall’esplosione dell’auto, un lago di acqua, macerie e fango e la Torre de’ Pulci, all’interno della quale ha sede l’Accademia dei Georgofili sin dal 1932, squarciata a metà.

Nell’attentato perdono la vita cinque persone. All’ultimo piano della Torre de’ Pulci vivono la custode Angela con il marito Fabrizio Nencioni e le loro due bambine, Nadia e Caterina. Le ricerche durano più di due ore. La prima ad essere ritrovata è Caterina, di appena cinquanta giorni, battezzata la domenica precedente. Inutile la corsa del vigile del fuoco con il fagottino bianco in braccio verso l’ambulanza. In seguito vengono ritrovati i corpi senza vita di Nadia Nencioni, nove anni, Angela Fiume e Fabrizio Nencioni. L’ultima vittima, ritrovata poco più tardi, è Dario Capolicchio, studente ventiduenne di architettura, che viveva nel palazzo di fronte.

il dono della luna doc Tv2000 strage dei georgofili location Firenze Romola (3)

La Torre de’ Pulci, la torre medioevale (secolo XV) nella quale ha sede l’Accademia dei Georgofili dal 1932, è stata parzialmente distrutta. L’ordigno esplosivo ha fatto crollare gran parte della parete prospiciente Via dei Georgofili. Il crollo ha comportato la distruzione della quasi totalità delle volte in muratura poste al primo piano, delle coperture dei solai. I lavori di ristrutturazione si sono svolti in due fasi. La prima ha previsto la messa in sicurezza e il preconsolidamento della parte della struttura prospiciente via Lambertesca; la seconda fase ha, invece, ha riguardato il restauro completo del complesso vasariano degli Uffizi.

L’esplosione ha danneggiato gravemente alcune opere presenti negli ambienti della Galleria degli Uffizi posti in via dei Georgofili e nel corridoio vasariano. Altre opere sono andate completamente perse. Tra queste ultime si annoverano Il concerto musicale e I giocatori di carte di Bartolomeo Manfredi; L’adorazione dei Pastori di Gerrit van Honthorst; Aquila di Bartolomeo Bimbi; Avvoltoi, gufi e beccaccia di Andrea Scacciati; Scena di caccia di Francis Grant; Grande cervo in una palude di Edwin Landseer.

georgofili preparazione

Il processo e le sentenze

L’iter processuale riguardante la strage avvenuta a Firenze nel Maggio del 1993 in via dei Georgofili, a differenza delle tortuose vicende giudiziarie inerenti le stragi avvenute nell’ondata mafiosa del 1992-1993, ha avuto un percorso piuttosto lineare ed ha portato in breve tempo alla individuazione dei responsabili materiali della strage. Il pool di magistrati fiorentini che ha lavorato alle inchieste sulle stragi del ‘93 era composto da Gabriele Chelazzi, Giuseppe Nicolosi, Alessandro Crini, guidato dal procuratore capo della Repubblica Piero Luigi Vigna e coadiuvato dal procuratore aggiunto Francesco Fleury.
Le indagini hanno accertato che i mandanti e gli autori materiali della strage erano esponenti della mafia. L’udienza preliminare si è svolta il 12 giugno del 1996. Il processo di primo grado, aperto il 26 novembre 1996, si è concluso nel 1998, con 14 ergastoli e varie condanne.

Nel 2008 Gaspare Spatuzza ha iniziato a collaborare con la giustizia confermando il proprio coinvolgimento nella strage di Firenze e, grazie alle sue dichiarazioni, la Corte d’Assise di Firenze ha condannato Francesco Tagliavia all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni, al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere ed al risarcimento dei danni nei confronti del Ministero della Difesa, della Regione Toscana, del Comune di Firenze e delle parti civili costituitesi nel processo.
Nel 2014 la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna all’ergastolo del boss mafioso della famiglia di Corso dei Mille Francesco Tagliavia per la strage di via dei Georgofili. Così si apre l’appello bis.

Capitolo 2

“Chi ha paura muore ogni giorno,
chi non ha paura muore una volta sola”

(Paolo Borsellino)

La strage

La Strage di Via Mariano d’Amelio fu un attentato mafioso ad opera di Cosa Nostra in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino.
Alle 16:58 del 19 luglio 1992 una Fiat 126 imbottita con 100 kg di tritolo parcheggiata sotto l’abitazione della madre del magistrato esplose uccidendo il giudice e gli uomini della sua scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. I feriti furono 24.

La dinamica

Secondo la testimonianza di Antonino Vullo, unico agente della scorta sopravvissuto alla strage, la Fiat 126 esplose nel momento in cui Paolo Borsellino alzò la mano per citofonare. La testimonianza di Vullo è stata recentemente confermata dalle parole di Totò Riina, che intercettato in carcere ad Opera ironizzava sul fatto che fosse stato proprio il giudice ad azionare l’autobomba, premendo il tasto del citofono della madre.
Pochi minuti dopo l’esplosione, sul luogo della strage arrivò il deputato ed ex-giudice Giuseppe Ayala che abitava nelle vicinanze. Nel verbale degli agenti della squadra mobile giunti sul posto, si legge che vi erano «decine di auto distrutte dalle fiamme, altre che continuano a bruciare, proiettili che a causa del calore esplodono da soli, gente che urla chiedendo aiuto, nonché alcuni corpi orrendamente dilaniati».

Antefatti e movente

Primo movente: la vendetta per il Maxiprocesso
Il 30 gennaio 1992 la sesta sezione penale della Corte di Cassazione aveva confermato le condanne inflitte in primo grado nell’ambito del Maxiprocesso di Palermo, ribaltando così il verdetto di secondo grado. L’evento risultò fatale per Cosa nostra, soprattutto perché intaccava il prestigio della leadership di Salvatore Riina. Riina aveva infatti assicurato ai membri dell’organizzazione che, in virtù dei suoi contatti a livello politico, il verdetto di Cassazione sarebbe stato favorevole a Cosa nostra. Il fallimento della promessa di Riina costituiva dunque un grave colpo alla credibilità del capo, che promise di punire duramente i responsabili: innanzitutto i giudici che avevano istruito il Maxiprocesso, i cui simboli erano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; in secondo luogo i referenti politici di Cosa nostra, responsabili del tradimento del patto con l’organizzazione: prima di tutti Salvo Lima, ucciso infatti il 12 marzo 1992.
Il primo movente individuato inizialmente dagli inquirenti fu così la vendetta di Cosa Nostra per l’istruzione del Maxiprocesso.

Più operazione di testimonianza che non restauro tradizionalmente inteso: il recupero de "I giocatori di carte" di Bartolomeo Manfredi, l'opera più devastata fra quelle colpite dall'attentato mafioso di via de' Georgofili, che nella notte fra il 26 e il 27 maggio del 1993 uccise 5 persone e danneggiò pesantemente alcuni ambienti degli Uffizi, è stato presentato oggi in Palazzo Vecchio a Firenze.
ANSA/UFFICIO STAMPA COMUNE DI FIRENZE
+++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++
Più operazione di testimonianza che non restauro tradizionalmente inteso: il recupero de "I giocatori di carte" di Bartolomeo Manfredi, l'opera più devastata fra quelle colpite dall'attentato mafioso di via de' Georgofili, che nella notte fra il 26 e il 27 maggio del 1993 uccise 5 persone e danneggiò pesantemente alcuni ambienti degli Uffizi, è stato presentato oggi in Palazzo Vecchio a Firenze.
ANSA/UFFICIO STAMPA COMUNE DI FIRENZE
+++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Il secondo possibile movente: l’attivismo giudiziario per la ricerca della verità sulla strage di Capaci
Dopo la strage di Capaci, Paolo Borsellino si era gettato a capofitto nelle indagini per scoprire la verità sulla morte di Giovanni Falcone. Il suo attivismo in tal senso è stato considerato per anni il movente della Strage di via d’Amelio.

Il terzo possibile movente: la contrarietà alla trattativa Stato-Mafia
Una recente pista giudiziaria ha invece sollevato l’ipotesi che Paolo Borsellino sia stato ucciso perché a conoscenza e contrario alla Trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra per mettere fine alle stragi. Secondo Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, la strage è da considerarsi una vera e propria “strage di Stato”. Tuttavia, quest’ultima ipotesi è ancora al vaglio degli inquirenti.
.

Le indagini

Le prime indagini furono portate avanti da una task force guidata dal questore Arnaldo La Barbera, ex-capo della squadra mobile di Palermo, che aveva basato le indagini sulle dichiarazioni del pentito Vincenzo Scarantino, mafioso della Guadagna che si era autoaccusato di aver rubato la Fiat 126 usata nell’attentato.
Le indagini portarono il 27 gennaio 1996 alla celebrazione del Processo Borsellino primo, alla fine del quale furono condannati lo stesso Scarantino (18 anni di reclusione e 4,5 milioni di lire di multa) e i suoi complici, Giuseppe Orofino, Pietro Scotto e Salvatore Profeta (condannati all’ergastolo, a un anno e mezzo di isolamento diurno e a 13 milioni di lire di multa ciascuno).
Scarantino e Profeta furono riconosciuti colpevoli di aver rubato la Fiat 126, di averla riempita di esplosivo e collocata davanti alla casa della madre di Borsellino. Orofino fu ritenuto colpevole invece di essersi procurato la disponibilità delle targhe e dei documenti di circolazione e di assicurazione falsi che furono apposti sulla 126 per consentirne la sicura circolazione e la collocazione sul luogo della strage. Scotto infine fu ritenuto colpevole di aver manomesso i cavi e gli impianti telefonici del palazzo di via D’Amelio per intercettare le telefonate della madre di Paolo Borsellino, così da conoscere i movimenti del magistrato.
Dalle indagini scaturirono anche il Processo Borsellino bis ed il Processo Borsellino ter.

“Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla.
Perchè il vero amore consiste nell’amare
ciò che non ci piace per poterlo cambiare”

(Paolo Borsellino)

La svolta

Nel 2008 il mafioso Gaspare Spatuzza iniziò a collaborare con la giustizia e ricostruì le dinamiche della strage di via D’Amelio, facendo emergere il ruolo fondamentale avuto dalla cosca di Brancaccio-Ciaculli nell’esecuzione dell’attentato e smentendo Scarantino: Spatuzza dichiarò che era stato lui a rubare la Fiat 126 e che questa era stata imbottita di tritolo da una mano esperta estranea a Cosa Nostra.
Nel 2011 il procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, chiese e ottenne la scarcerazione di sette persone, condannate all’ergastolo perché accusate di aver fatto parte del commando che entrò in azione in via D’Amelio per la strage del 19 luglio 1992, in quanto risultate estranee ai fatti.

Palermo 03

Il processo per il depistaggio

Le dichiarazioni di Spatuzza hanno portato il 22 marzo 2013 all’apertura di un nuovo processo (il Processo Borsellino quater) presso la Corte d’Assise di Caltanissetta, a carico di Vittorio Tutino, Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta, Calogero Pulci ed il boss Salvatore Madonia. Madonia e Tutino sono accusati di aver svolto un ruolo centrale nella preparazione della strage, mentre gli i falsi pentiti Pulci, Andriotta e Scarantino sono incriminati per calunnia aggravata, in quanto a seguito delle false dichiarazioni rese sono state arrestate sette persone che sono poi risultate non colpevoli.
Il processo è attualmente in corso.

Capitolo 3

“Li immagino i fratelli Luciani, Luigi e Aurelio,
capire in una frazione di secondo che quello che avevano visto
li avrebbe condannati a morte”

(Roberto Saviano)

9 agosto 2017. Tutto è accaduto in pochi minuti intorno alle 10 sulla strada provinciale 272, nei pressi della vecchia stazione di San Marco in Lamis, in provincia di Foggia: quattro persone freddate da un commando armato formato da quattro o cinque killer. Le vittime erano a bordo di due mezzi, trovati a distanza di 500 metri l’uno dall’altro: due uomini sono stati uccisi mentre erano su un Maggiolone Wolkswagen blu scuro, due in un Fiorino bianco.

Il boss nel mirino
L’obiettivo dei killer era il Maggiolone: il boss Mario Luciano Romito, cinquant’anni, di Manfredonia, a capo del clan che negli ultimi anni si contrapponeva al clan Li Bergolis nella cosiddetta ‘faida del Gargano’. Con lui, nella vettura, c’era il cognato Matteo De Palma, che gli faceva da autista, anche lui morto all’istante. Secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri del comando provinciale di Foggia, un’automobile con i sicari a bordo avrebbe affiancato il Maggiolone e i killer avrebbero aperto il fuoco con un fucile d’assalto kalashnikov Ak-47 e un fucile da caccia calibro 12, uccidendo sul colpo con una sventagliata di proiettili Romito e De Palma.

La caccia ai testimoni
Due agricoltori, i fratelli Luigi e Aurelio Luciani, di San Marco in Lamis, rispettivamente di 47 e di 43 anni, hanno visto uccidere il boss ed il suo autista ed hanno capito di essere in pericolo. Avrebbero tentato la fuga ma sono stati raggiunti e uccisi. Nel Fiorino sono stati trovati dai carabinieri attrezzi utilizzati per coltivare la terra e raccogliere verdure: i due agricoltori erano completamente estranei alla vicenda, colpevoli solo del fatto di recarsi al lavoro come ogni mattina.

6

I morti della strage di Via D’amelio

5

I morti della strage dei Georgofili

2

I morti dell'omicidio dei fratelli Luciani

48

I feriti della strage dei Georgofili 48

24

I feriti della strage di Via D’Amelio

148

Opere d’arte danneggiate nell’esplosione dei Georgofili

90

Kg di esplosivo per l’auto Borsellino

250

Kg di esplosivo per l’auto dei Georgofili

11

Attentati tra il '92-'93

PROTAGONISTI
LUOGHI